Biografia

mt_ignore:Nato il 4 gennaio 1917 a Montona. Mio padre, Guido, era da poco Bezirksrichter, cioè giudice distrettuale per l’Istria meridionale in quella graziosa cittadina. Già suo nonno, Giuseppe Angelo, lussiniano, aveva abbandonato il mare per studiare giurisprudenza a Vienna. A metà Ottocento era divenuto pretore nell’isola di Lussino, suo luogo di nascita. Suo figlio Tito, mio nonno, pure laureato in legge, era pervenuto alla carica di Oberfinanzrat dell’Österreichisches Küstenland e aveva sposato una contessa istro-veneta di padre greco e madre capodistriana nata de Totto. I figli studiarono tutti giurisprudenza a Vienna o Graz. Mia madre, Noemi Niederkorn, già maestra della Lega Nazionale a Pisino, donna esemplare di lontane origini lussemburghesi e poi viennesi, era figlia di un direttore didattico in Istria, che aveva sposato un’istriana di padre remotamente montenegrino e madre veneta, aveva avuto due figli: Steno e Loris. Come si ha motivo di intendere: un gentilizio mitteleuropeo. Sposato dal dicembre 1962 con Marisa Ulcigrai, dottoressa in filosofia e in medicina e chirurgia, che mi ha dato due figli: Silvio, laureato brillantemente in farmacia e da un decennio imprenditore nel campo della comunicazione e Noemi, laureata con lode in lettere e diplomata in pianoforte al “Pollini” di Padova, pubblicista e coniugata con un medico legale.
Ho conseguito la maturità classica nel Liceo “F. Petrarca” di Trieste, ove fui allievo tra gli altri del filosofo Giorgio Fano, del filologo e germanista Emilio Bidoli, dello storico dell’arte Silvio Rutteri e di altri egregi insegnanti.
Ottobre 1936: mi si presentava ormai l’opportunità di iscrivermi a una Facoltà universitaria. Avevo cullato per anni il sogno di diventare medico, stimolato in tal senso dall’intenso interesse di perfezionare le conoscenze anatomo-fisiologiche apprese superficialmente nel corso degli studi liceali e di penetrare nello studio scientifico delle malattie. Un afflato umanitario, altruistico permeava questa tendenza. Pur se osteggiato dai miei zii, laureati in giurisprudenza, feci prevalere la mia aspirazione e mi iscrissi a medicina in Padova, la cui celebrità proprio in questo settore mi era già nota per precedenti letture e informazioni. Mi laureai in medicina e chirurgia il 29 giugno 1942 con una tesi in Clinica Dermosifilopatica su “Ricerche cliniche sulle bartoliniti gonococciche e forme similari” con il professore Mario Truffi. 
L’insegnamento austero, sistematico, rigido, freddo delle lezioni largite soprattutto nel primo triennio, se per un verso mi attraeva, per altro verso metteva in evidenza a me, proveniente da un ambiente profondamente umanistico, classico, letterario una carenza di approfondimenti storici e logici: così le lezioni di istologia, di microbiologia e perfino di patologia generale. Non mi fu difficile scoprire una terapia adeguata al mio disagio. La Facoltà di Lettere e Filosofia brillava in Padova a quel tempo per grandi nomi come Concetto Marchesi, Manara Valgimigli ed Erminio Troilo. E fu così, lo confesso oggi, che più di una volta marinai le lezioni, spesso noiose, del mio corso sostituendole con quelle o di Letteratura latina e greca e soprattutto con quelle di Filosofia teoretica. Il professore Troilo, Ordinario di questa disciplina, al quale avevo espresso talune mie insoddisfazioni, aveva pienamente afferrato il problema e mi aveva offerto la sua, oserei dire, paterna comprensione e tanti suggerimenti. Gli fui immensamente grato: la memoria di questo illustre Maestro, di cui conservo lettere e giudizi generosi e preziosi, mi torna sempre assai gradita.


Mi ero ben accorto, per esempio, dell’esigenza necessaria di conoscere le radici dell’impianto storico-scientifico della patologia e di esplorare pertanto i processi attraverso i quali i medici fin dai tempi più remoti erano andati interpretando il concetto di malattia, di infiammazione, di tumore, di febbre e via dicendo. Fu questa vigorosa aspirazione a suggerirmi di incontrare la Storia della Medicina attraverso quelle modalità di ricerca indispensabili per la realizzazione di un siffatto programma. Presi, ad esempio, durante le vacanze estive lezioni di paleografia dal professore Marino de Szombathely, che si aggiungevano a quelle ascoltate dal professore Troilo, che costituivano almeno una parte del patrimonio necessario per avviarsi alla storia della medicina secondo quei canoni, che gli studiosi tedeschi definiscono Einführung in die Medizin e Einführung in die Medizinhistorik, temi sui quali dal mio illustre amico e per certo verso maestro, Walter Artelt, purtroppo scomparso precocemente e che avevo conosciuto in anni successivi, avevo acquisito.
A questo punto gradirei sottolineare due ricordi: l’iscrizione agognata alla celebre Facoltà di medicina dell’Ateneo dei Veneti e la mia uscita dall’insegnamento.
Era il 1936. Non era ancora scoppiata la seconda guerra mondiale. Una giornata autunnale: il cielo era terso, non vi era traccia di quella nebbia che, pur se talvolta cosparsa di qualche romantica venatura, può destare fastidiosi e melanconici sentimenti. Provenivo da Trieste dopo un corso di studi piuttosto pesanti con insegnanti assai efficienti. Avevo già inviato tutta la documentazione necessaria per l’iscrizione al bidello del Rettorato, Emilio Lipomano, un uomo investito da una certa autorità, solennemente seduto dietro a un modesto tavolino al primo piano del vecchio Bo’. Un paio di baffi neri gli ornava il volto, mentre due occhi penetranti ti scrutavano con furberia e una certa diffidenza, adusato com’egli era alle goliardiche monellerie.
Mi presentai e non senza un briciolo d’ansia gli chiesi se aveva ricevuto la documentazione, che gli avevo inviato, e provveduto alla mia iscrizione. Con tono contegnoso e misurato e secche parole mi rispose che tutto era a posto. Ero seduto dinanzi a lui su una seggiola un po’ traballante: gli espressi la mia gratitudine, mi alzai, mi avvicinai a lui e, non senza una nuance di timidezza, gli porsi nel cavo della mano destra una moneta argentea da 20 lire.
Lipomano si alzò e gentilmente mi accompagnò alla porta e mi salutò con queste parole: <<Dottore, grazie e sarò sempre a sua disposizione>>. Accolsi quelle parole come un augurio e trassi tosto l’impressione di essermi trovato dinanzi a uno dei personaggi del Ruzzante. Da quel momento si aprì una sorta di amicizia con quest’uomo, che durò per qualche decennio accettando io pure da lui qualche invito a colazione.
Giunto a settant’anni, tenni l’ultima lezione, che sarebbe dovuta essere solenne, ma che le più moderne consuetudini post-’68 avevano dissipato. Tuttavia, entrato nell’aula del nostro Istituto, mi accorsi della presenza di qualche gentile collega, di due giovani e valorosi docenti, già miei devoti discepoli e del consueto e affezionato uditorio studentesco, costituito da elementi studiosi, impregnati da interessi storico-critici ed epistemologici e grati per la mia apertura intellettuale nello svolgimento delle svariate problematiche, che l’indirizzo storico ci prospettava.
Conclusi la lezione e con tono sommesso aggiunsi: “E’ stata questa la mia ultima lezione ufficiale; ai giovani auguro una carriera prospera, confortata dai luminosi richiami e dalle positive riflessioni emergenti dalla cultura storica.


Colsi sulle guance dei due giovani colleghi e di due o tre studentesse della prima fila qualche lacrimuccia. Ringraziai tutti i presenti e una di quelle studentesse si accostò a me e timidamente mi domandò: “E’ forse possibile chiedere al Magnifico Rettore che lei possa continuare a far lezione anche negli anni successivi?“ Fu questo al termine della mia carriera didattica il premio più significativo e più gradito.
Lasciamo i due ricordi e rientriamo nello svolgimento della mia carriera. Nel febbraio 1943 in una Bologna, coperta di neve e depressa per le dolorose notizie dei bombardamenti sempre più violenti su Napoli, sostenni l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale con illustri docenti: Antonio Gasbarrini, Gherardo Forni e Luigi Bacialli.
Nell’anno accademico 1942-43 frequentai a Padova nei pomeriggi come medico interno l’Istituto di Anatomia e Istologia patologica, diretto dal prof. Giovanni Cagnetto e mi fu rilasciato il seguente certificato: <<Il dott. Premuda è giovane serio, intelligente, cordiale nei rapporti con i colleghi, affezionato allo studio, così da dare affidamento che possa raggiungere nella carriera eccellenti mete>>. Nello stesso periodo iniziai pure l’iter ospedaliero a Trieste nella prima e poi nella seconda Divisione medica.
Il 9 giugno 1944: diploma di specializzazione in malattie dell’apparato respiratorio presso la Clinica medica dell’Università di Padova, diretta da Pio Bastai.
Il 2 novembre 1946 mi classificai primo assoluto su 41 concorrenti al concorso per titoli ed esami al posto di assistente di medicina e chirurgia bandito dagli Ospedali Riuniti di Trieste riportando punti 197 su 200.
Nel marzo 1947 al concorso per titoli ed esami, riservato a tre posti di Aiuto di Medicina interna, mi piazzai nella terna vincitrice su 17 concorrenti riportando punti 186,5 su 200. L’attestato rilasciato dall’Amministrazione ospedaliera così tra l’altro si espresse: <<Il dott. Loris Premuda si è sempre particolarmente distinto meritandosi per le sue eminenti doti di capacità tecnica e culturale il vivo apprezzamento e la piena fiducia da parte della Direzione Generale Sanitaria e dall’Amministrazione ospedaliera>>. Aiuto di Adriano Sturli, già primo assistente di von Neusser e assiduo collaboratore di Landsteiner all’Università di Vienna, mi venne rilasciato dal Primario il seguente giudizio: <<Il sottoscritto non può che lodarsi della capacità del Dottor Premuda nell’esecuzione dei compiti affidatigli e specialmente del suo continuato fervore di studio e della sua cultura, di cui fanno fede le molte pubblicazioni scientifiche (di cui la maggior parte inerenti la storia della medicina)>>.
Il 15 novembre 1948 raggiunsi a Padova il diploma di perfezionamento in Medicina Legale e delle Assicurazioni presso l’Istituto di Medicina legale, diretto dal prof. Rinaldo Pellegrini.
Negli anni tra il 1945 e il 1950 iniziai i contatti con la Scuola di Storia della Medicina di Adalberto Pazzini a Roma. Il 17 maggio 1946 venni eletto Segretario dell’Associazione Medica Triestina, di cui era presidente il prof. Carlo Ravasini.
Il 29 settembre 1946 fui eletto Consigliere con ampio suffragio nell’Assemblea nazionale di Firenze della Società Italiana di Storia delle Scienze mediche e naturali, carica che mantenni sempre negli anni successivi fino alla nomina a Vice-presidente, Presidente e Presidente onorario.
Nella prima sessione di esami di libera docenza in Storia della Medicina, bandita nel dopoguerra nel 1947, ottenni il titolo di libero docente con il seguente giudizio:

<<Omissis

Il candidato presenta 48 lavori, tra i quali sono da notare in particolare modo alcuni studi sulla medicina romana, che hanno inizio sulle divinità che venivano considerate guaritrici e che erano in parte indigene e in parte importate dall’Etruria, dalla Grecia e dall’Egitto.
L’evoluzione della medicina romana è seguita attraverso l’opera di M. P. Catone e quindi attraverso quella degli enciclopedisti e degli altri classici.


Un’altra serie di lavori ha per tema le condizioni igienico-sanitarie di Trieste nel passato e l’opera compiuta da alcuni insigni medici e quella codificata dagli statuti civili per proteggere la salute dei cittadini. Queste ricerche eseguite con molta accuratezza su fonti d’archivio illuminano felicemente la parte che la città ebbe nella storia della medicina italiana.
Un altro studio è dedicato alla storia della storia della digitale nella terapia di varie malattie e più particolarmente delle cardiopatie. Questo libro dimostra un’ottima preparazione storica e una attenta consultazione di tutte le fonti e dà quindi un quadro completo dell'importanza che questo farmaco ebbe nella storia della terapia.
Note biografiche su importanti clinici e scienziati, fra i quali rileviamo quelle su S. Santorio, confermano il giudizio della Commissione sulla diligente opera eseguita dal candidato.
La conferenza sui titoli offre l’opportunità di un’ampia discussione su vari argomenti storico-medici, nella quale il candidato dimostra di aver approfondito i suoi studi in materia e di avere un’ottima conoscenza della letteratura.
Nella prova didattica il dott. PREMUDA ha svolto il tema della medicina ippocratica e dopo aver tessuto una biografia di Ippocrate ha passato in disamina il contributo portato al progresso della medicina anzitutto dalla Scuola ippocratica e dalle scuole mediche, che dai principi di essa hanno tratto insegnamento. Le opere più importanti del Corpus Hippocraticum sono quindi esattamente esaminate.
La Commissione, avendo esaminato l’opera del dottor Premuda nel campo storico-medico, ritiene che essa dimostri attitudini di ricercatore e di storico attento e che egli possieda le qualità necessarie per insegnare e infondere l’amore alla storia della medicina.
La Commissione unanime lo propone all’abilitazione in Storia della Medicina>>.
Al ritorno da Roma a libera docenza conseguita e non avendo intenzione di perdere tempo, ritenendomi sufficientemente preparato per un insegnamento decoroso della mia disciplina, mi fermai a Ferrara (ciò era già nel mio programma di lavoro) per offrire l’esercizio della mia libera docenza alla Facoltà medica di quell’antica Università. Il Magnifico Rettore, professor Felice Gioelli, mi accolse assai volentieri e mi propose subito il <<tu>> consigliandomi di iniziare nell’anno accademico 1948-49 le lezioni. Per un triennio tenni il corso libero e già il 3 agosto 1950 il Preside, prof. Giulio Cesare Dogliotti, mi scriveva: <<Voglia gradire, caro Premuda, l’espressione del mio sentimento di profonda stima ed ammirazione per la Sua fervida fede nei più nobili ideali di vita, sostanziata di seria operosità e di vasta cultura>>.
La strada era aperta. Il 16 febbraio 1949 su cordiale consenso del Magnifico Rettore tenni nel settecentesco Teatro anatomico in palazzo Paradiso, gioiello di allora e di oggi con le sue tre gradinate di banchi, la cattedra in alto e ai lati le due porte di accesso, la prima lezione, che le Autorità accademiche benevolmente intesero chiamare “prolusione” sul tema: Essenze e obietti di un insegnamento storico-medico nell’Ateneo ferrarese.
Il Preside Mario Trincas, succeduto a Dogliotti e patologo chirurgo, nonché fervido assertore dell’importanza degli studi storico-medici per la preparazione culturale del futuro medico, inoltrò a nome del Consiglio della Facoltà una circostanziata proposta al Ministero della Pubblica Istruzione in pieno accordo con il Magnifico Rettore e il Consiglio d’Amministrazione <<per l’introduzione dell’insegnamento della Storia della Medicina tra i complementari della Facoltà>>.


In data 1° febbraio 1951 la prima sezione del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione esprimeva all’unanimità parere favorevole sulla proposta. Il decreto, firmato da Luigi Einaudi, fu pubblicato il 18 aprile 1951 sulla Gazzetta Ufficiale. Riviste italiane e straniere, tra cui due importanti riviste statunitensi ne diedero notizia. Con l’anno accademico 1951-52 iniziai il corso ufficiale su incarico di Storia della Medicina. Ciò significava per me l’inizio della carriera accademica, autorizzata dal Ministero e per Ferrara l’introduzione di una disciplina ammessa regolarmente nello Statuto dell’Università. Quelli ferraresi furono per me anni oltremodo prosperi e lusinghieri in un ambiente accademico non ampio, ma assai cordiale e amichevole.
Tra le tante personalità, che ebbi occasione di conoscere nel clima ferrarese ricordo con particolare affetto e con ammirazione Gaetano Boschi, Magnifico Rettore dell’Università di Modena, insigne neuropsichiatra, e cultore della Storia della Medicina domiciliato a Ferrara in palazzo Boschi già Costabili e nella stessa città consulente in una Casa di cura.
Le mie lezioni furono ben frequentate e altrettanto gli esami. Due discepoli mi furono particolarmente cari e assai apprezzati per la loro capacità di ricerca: Cesare Menini, che quindici anni più tardi avrebbe assunto l’incarico di insegnamento e Guelfo Sani, giovane di notevole ingegno, che aveva pubblicato una ricerca interessante su Ludovico Bonaccioli e diversi anni più tardi, discepolo di Pietro Quinto, sarebbe divenuto direttore della Clinica ostetrico-ginecologica dell’Università di Bologna.
Non era passata certamente inosservata alle Autorità accademiche dell’Università di Padova la brillante notizia della fondazione di un insegnamento storico-medico in quel di Ferrara: fu così che il professor Achille Roncato, già mio insegnante di chimica biologica a Padova mi invitò alla Biblioteca medica Pinali, di cui era direttore, per un colloquio di natura storico-medica e con l’invito a occuparmi del riordino e della sistemazione dell’ingentissimo e pregevole materiale librario, che per disordini precedenti e per le malaugurate vicissitudini del periodo bellico era rimasto alquanto trascurato. Sarei stato aiutato in questo lavoro dal professor Gustavo Tanfani, libero docente in Storia della Medicina, ma ormai anziano e piuttosto stanco, e dalla signora Lea Michelini Greselin, impiegata nella Biblioteca stessa. Due pomeriggi alla settimana Tanfani ed io prestavamo la nostra opera con attenzione e con grande interesse. Migliaia e migliaia di libri preziosi, di edizioni cinquecentine e di qualche incunabolo medico passarono attraverso le nostre mani e i nostri occhi.
Proprio nel 1952 ricorreva il trentesimo anno di laurea dell’amico e maestro Adalberto Pazzini. Mi diedi da fare e raccolsi una trentina di scritti, rilasciati da storici della medicina italiani e stranieri per dedicarli al professor Pazzini in un volume, edito da “Minerva Medica”, il cui illustre direttore, Tomaso Oliaro, mi era caro amico. Presentai il volume al Pazzini il 13 febbraio 1954 nel corso di una cerimonia ufficiale, in cui prendemmo la parola l’amico senatore prof. G. Alberti ed io.
Il 24 ottobre 1953 tenni a Verona in occasione di un importante congresso una relazione su Il pensiero psicosomatico attraverso i tempi, che ebbe un buon successo e persino un’ampia e positiva recensione su <<Excerpta medica neurology and psichiatry>> dell’ottobre 1954. Egidio Meneghetti, già mio insegnante di Farmacologia e Rettore Magnifico dell’Università di Padova, personaggio di alto rilievo sul piano scientifico, sociale e politico, era presente: si entusiasmò alla mia lettura e al termine mi venne incontro felicitandosi con me e invitandomi a un colloquio nel suo Istituto. Due erano pertanto i miei padrini per la scalata all’austero e rigido Sacrario della medicina. Si arrivò sotto la protezione di questi due autorevoli personaggi al colloquio con il Magnifico Rettore, prof. Guido Ferro, che ci ricevette il 18 gennaio 1955 alle ore 11 in Rettorato al Bo’. L’atmosfera allora era quella di un tempio. Il Magnifico fu assai lieto di conoscermi, mi promise il suo appoggio e volle che subito si iniziasse il mio insegnamento ufficiale su incarico. Iniziai con una prolusione dal titolo: Pensiero e dottrina di Girolamo Fracastoro a quattrocento anni dalla sua morte nell’Aula E nel cortile antico dell’Università. Fui presentato con parole assai lusinghiere dal Preside prof. Luigi Bucciante, Erano presenti i più autorevoli colleghi della Facoltà: i professori Santonastaso, Pellegrini, G. B. Belloni, Maleci, Ravasini, Ceccarelli, Stella, Raso, e il mio, ormai amico, prof. Gaetano Boschi, Rettore Magnifico dell’Università di Modena e mia madre, seduta tra i professori Roncato e Meneghetti. Qualche anno più tardi vennero a mancare quest’ultimi, convinti patrocinatori dell’esigenza assoluta di una cattedra ordinaria di ruolo per la mia materia, ancor più importante che in Facoltà di altre città per il fatto, come scrisse anche l'autorevole Sigerist che la medicina moderna è nata proprio nello Studio padovano. La mia prolusione fracastoriana fu assai apprezzata e pubblicata su <<Minerva Medica>> ebbe notevole diffusione. Dovetti attendere quattordici anni per il concorso a professore ordinario della materia, nomina questa, che fu tra l’altro l’ultimo atto firmato da Guido Ferro nel suo lungo Rettorato.
Nell’intento di allargare le mie vedute e un’interpretazione più raffinata del pensiero medico nella sua storia mi ero accostato dopo il 1950 a Henry Sigerist, che, rientrato dagli Stati Uniti si era ritirato nella “Casa Serena“ a Pura nel Canton Ticino in Svizzera. Il contatto con questo insigne Maestro fu per me oltremodo fruttuoso. Alla conoscenza della mia chiamata a Padova l’insigne Maestro così mi scriveva il 22 febbraio 1955: <<Caro collega La ringrazio calorosamente di aver pensato a me mandando i giornali con la gradevole notizia che Lei sia incaricato dell’insegnamento della storia della medicina all’Università di Padova. Io ho sempre considerato Lei il più eminente erudito della Sua generazione. Gradisca i miei auguri vivissimi e mi creda suo dev.mo., H. E. Sigerist, M. D.>>.
Già verso il termine del primo anno di insegnamento e più precisamente con la data “Padova, 1 luglio 1955 “ si pubblicava il primo volume di <<Acta Medicae Historiae Patavina>>, con una Presentazione, che così concludeva: <<Licenzio il primo volume di Acta Medicae Historiae Patavina formulando l’augurio che l’attività storico-medica della nostra Scuola possa ulteriormente progredire ed affermarsi e possa sorgere pure una fattiva collaborazione scientifica, di cui si è gia visto qualche favorevole segno, con gli altri importanti e più maturi Istituti scientifici della nostra Università.
Perché la Storia della Medicina non è “la dottrina dei morti”, come taluno ingenuamente e fornito di scarsa informazione può ritenere, ma è disciplina viva, che, accanto alla custodia delle antiche, gloriose reliquie del passato, intende svolgere una funzione altrettanto nobile in sede teorica, propedeutica, critica e proiettare i semi di un passato fecondo verso l’avvenire, partecipando all’evoluzione progressiva della medicina, non certo al suo regresso>>. Ma di questa rivista si dirà ancora più oltre.


Nello stesso anno 1955 fu bandito il “Concorso per professore straordinario alla Cattedra di Storia della Medicina dell’Università di Roma“. Fu il professor Meneghetti a spingermi, affinchè partecipassi a questo concorso pur avendogli io chiarito che non mi sentivo ancora adeguato a tale prova. Vi partecipai e mi fu rilasciato tuttavia dalla Commissione, composta dai professori C. Frugoni, V. Puntoni, A. Cazzaniga, R. Ciasca e G. Di Macco il seguente giudizio:

“omissis

In taluni studi … si manifesta una lodevole attitudine a inquadrare il dato singolo in una più ampia visione del processo storico … la Commissione ritiene che il candidato, perseverando nella sua attività, riuscirà meritatamente ad affermarsi “(Min. P. I., Estr. dal “Boll. Uff.“ parte Ia , del 26 gennaio 1956, n. 4, p. 3).
Va detto che in questa occasione non era stata stilata una terna, perché il Ministero aveva messo a disposizione soltanto la cattedra di Roma, predestinata giustamente al professore Pazzini.
Considerata l’intensa attività scientifica e didattica, svolta dalla giovane Cattedra di Storia della Medicina, la Facoltà medica su proposta del Preside Luigi Bucciante, calorosamente avallata dal Magnifico Rettore Guido Ferro, decretò la creazione di un Istituto di Storia della Medicina a decorrenza dal 1° novembre 1957 assegnandomi la direzione. Una sede era già in funzione dall’anno precedente all’ammezzato della scala sinistra del palazzo degli Istituti anatomici, edificato dal Fondelli e inaugurato nel 1922. Si trattava di un locale, già appartenuto all’Istituto di Medicina del lavoro del professore Salvatore Maugeri: un ambiente angusto, costituito da un unico stanzone tramezzato, provvisto di una sola ampia finestra su via Falloppia e da uno stanzino cieco con lavandino e acqua corrente. L’arredamento fu agevolato in parte dal prof. Roncato, che cedette qualche mobile dalla Biblioteca Pinali e da altra suppellettile, ricuperata dal mio primo e affezionato allievo, Franco Di Cianni, divenuto primario ginecologo all’Ospedale di Marostica, oggi già in quiescenza. Nella biblioteca si raccolsero 350 volumi, donati in parte dalla Pinali e pure da me stesso e tanti opuscoli.
Furono anni di intenso lavoro: lezioni, seminari, ricerche e tante altre attività, di cui si dirà sinteticamente più oltre. C’era sempre nell’Istituto, pur nella serietà del lavoro, un’atmosfera quasi bohémienne. C’era un via vai di colleghi e di studenti e, beninteso, di assistenti a vario titolo.
Nel 1965 si compie un grande passo: l’Istituto prende possesso diretto di tutta la struttura della Biblioteca medica Pinali, sezione antica, essendosi la sezione moderna già staccata tre anni innanzi e trasferita al Policlinico di via Giustiniani.
Un complesso di manovre amministrative, da me suggerite e dal preside Bucciante delicatamente pilotate, ci aiutò a raggiungere questa posizione dignitosa e decorosa al primo piano dello stesso Palazzo, in cui erano operanti gli Istituti di Anatomia umana normale, di Anatomia patologica, di Medicina legale, di Istologia ed Embriologia e di Anatomia medico-chirurgica. Il nostro Istituto si estendeva al primo piano sul versante prospiciente via Falloppia, costituito da una stanza per la segreteria, uno studio per il direttore, due ampi saloni a uso biblioteca, una sala di lettura, una per uso didattico e inoltre uno stanzino per le attrezzature scientifiche e un altro per i servizi igienici. La Storia della Medicina finalmente si realizzava anche sul piano logistico e funzionale.
Rimanevano all’Istituto ancora la sua sede primitiva e un ambiente nello scantinato per deposito di materiale librario.


La cura e l’aggiornamento della biblioteca dell’Istituto e della Pinali sono state la mia premura fondamentale. La Pinali si compone di due branche: la prima, costituita da tutto il pregevole materiale librario raccolto in oltre un secolo, la donazione primaria, che dà il nome alla biblioteca di Vincenzo Pinali (1802 – 1875), professore di Clinica Medica nella metà dell’Ottocento e successivamente arricchita dai lasciti di pregiate raccolte trasmesse dai professori F. Fanzago (1764 – 1835), Tito Vanzetti (1809 – 1888), A. Tebaldi (1833 – 1895), A. De Giovanni (1838 – 1916), L. Lucatello (1863 – 1926) e N. D’Ancona (1875 – 1931) e la preziosa donazione del fisiologo V. Ducceschi (1871-1952), appassionato e convinto storico della medicina, composta di circa 2000 volumi, che costituisce un Fondo di particolare valore.
A tutto questo materiale si assomma una raccolta di 8 incunaboli medici, 117 manoscritti medici di particolare valore, 481 edizioni cinquecentine e più di ventimila opere di biologia e medicina dei secoli passati. C’è la catalogazione per autore, già compiuta dallo scrivente e da Gustavo Tanfani. Sotto la mia direzione si era iniziata pure la catalogazione per soggetto, che sarebbe stata portata avanti dopo la mia uscita da apposito personale. L’altra branca del materiale librario rappresenta la Biblioteca vera e propria dell’Istituto di Storia della Medicina, da me iniziata e arricchita, frutto del lavoro di scelta e raccolta compiuto sotto la mia direzione. Ci sono gli strumenti per ogni indagine storico medica: enciclopedie, dizionari enciclopedici, collezioni complete delle più importanti riviste nazionali e internazionali di storia della Medicina, della biologia e di storia e filosofia della scienza e di estratti e libri di natura storico-scientifica donati dallo scrivente. A tutto questo materiale si aggiunge una foto-cineteca, una collezione di stampe anatomiche e di tavole murali per uso didattico, trasmesse dallo scrivente e di 32 modelli in cera del primo Ottocento di malattie oculari, acquisiti come omaggio dall’amico e direttore della clinica oculistica prof. Angelo D’Ermo e ancora tra lo strumentario utile buone apparecchiature per riproduzioni fotografiche, films, lettura di microfilms, proiettori e via dicendo.
Il 28 maggio 1965 provai la prima luminosa soddisfazione (avevo già raccolto per l’innanzi tante manifestazioni di stima sotto diverse forme): il prof. Otto Hug, decano della Facoltà medica della prima Università di Monaco, mi invitava a concorrere alla cattedra di Storia della Medicina. Colsi un’eccellente affermazione, ma vuoi per ingenuità vuoi per legame con il mio Paese, non avrei accettato. Del resto avevo già dato tanto a Padova e speravo che avrei potuto raggiungere in questa sede il coronamento delle mie fatiche con l’ordinariato.
Tra il 1965 e il 1966 fui invitato dal Sindaco di Trieste, dott. Mario Franzil, alla partecipazione per consulenza al Comitato per l’istituzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Trieste d’accordo con il Rettore Magnifico prof. Agostino Origone.
Venne il 1968, anno a me caro anzitutto perché l’8 febbraio nacque mia figlia Noemi, ma pure perché il 15 dello stesso mese ricevetti una calorosa e affettuosa telefonata da Firenze dall’insigne Clinico medico Antonio Lunedei, geniale cultore anche di studi storico-medici, il quale mi aveva apprezzato negli anni precedenti per alcuni miei lavori a lui assai graditi, il quale con tono affettuosamente perentorio mi disse: <<carissimo Premuda, è giunto il momento fatidico! Comincia a preparare subito un bel curriculum! Il concorso è alle porte. Ti voglio domattina a Firenze per un concreto colloquio. Vieni giù con il rapido da Venezia e ti mando a prendere alla Stazione dal prof. Coturri>>. Lo ringraziai e lo assicurai della mia presenza all’indomani. Il colloquio fu assai cordiale e per me assai lusinghiero.
Il 3 agosto dello stesso anno alla fine della mattinata mi trovavo a Roma sullo scalone esterno del Ministero della Pubblica Istruzione assieme con il collega Luigi Belloni ad attendere la Commissione, che dopo tre giorni avrebbe concluso i lavori. Scesero così Antonio Lunedei che era stato presidente della Commissione giudicatrice, Adalberto Pazzini, Enrico Benassi, Michele Arslan e il segretario Luigi Cattaneo. Lunedei mi abbracciò e lo fece pure Pazzini commosso e lieto della mia vittoria. Pure Benassi, illustre amico dai tempi di Ferrara e Arslan, già mio maestro di Clinica otorinolaringoiatrica nell’anno in cui era scoppiata la seconda guerra mondiale e pure il gentile Cattaneo, si congratularono assai calorosamente. Cattaneo, purtroppo mancato precocemente, lo ricordo sempre quale cortese conversatore con mio figlio in due serate in occasione di un congresso a Mantova. Mio figlio era studente liceale, interessato al problema della Sacra Sindone, tema del quale il Cattaneo si stava occupando e dal quale ebbe interessanti spiegazioni.


Il 31 ottobre dello stesso anno ero ufficialmente chiamato a coprire la cattedra di ruolo quale professore straordinario nell’austera e imponente Università di Padova dal primo novembre.
Mi permetto a questo punto avanzare un piccolo rilievo. Il mio concittadino, Arturo Castiglioni, che io ricordo sempre con affetto e con sincera ammirazione, aveva tenuto un incarico d’insegnamento della Storia della Medicina a titolo gratuito in Padova dal 1924 al 1935. Non si era preoccupato di creare una rivista né un Istituto o una Scuola di perfezionamento. Si era limitato a impartire lezioni. Personaggio di alto rilievo nella vita pubblica non gli era riuscito tuttavia di raggiungere l’ordinariato. E’ lungi da me l’intenzione di scalfire con queste osservazioni l’insigne personalità del Castiglioni. Mi preme viceversa soltanto sottolineare il pregnante significato, oltremodo lusinghiero e incisivo, del mio ingresso ufficiale nell’austera turris eburnea, quale era in quei lontani anni la Facoltà padovana di Medicina. Sedevano infatti allora alla cattedra di Farmacologia Egidio Meneghetti, alla Biochimica Achille Roncato, in Clinica Medica Alessandro Dalla Volta, in Clinica Chirurgica Galeno Ceccarelli, in Anatomia umana normale Luigi Bucciante, in Fisiologia umana Luigi Stella, in Clinica Dermosifilopatica Franco Flarer e mi limito nell’elencazione degli insigni Colleghi. Ci sarebbe voluto ovviamente il voto favorevole del Consiglio di Facoltà per la chiamata definitiva e questo fu dato la mattina del 31 ottobre del 1968.
Il 20 febbraio 1969 fui invitato a concorrere alla cattedra di Storia della Medicina all’Università di Kiel e qualche anno più tardi pure a Giessen. Ormai dopo non poche fatiche mi sentivo ben sistemato a Padova e non avevo dato corso a queste per me sempre onorifiche proposte.
Nel settembre del 1971 ebbi la conferma a professore ordinario a Roma dalla Commissione costituita da Adalberto Pazzini, Gennaro Di Macco e Gastone Lambertini. Alla sera andammo a cena. Di Macco era dovuto partire e mi trovai soltanto con Pazzini e Lambertini che brindarono con me al mio definitivo ordinariato, mentre un eccellente stornellatore cantava tra l’altro la canzone “Roma non far la stupida stasera”, che a riascoltarla talvolta mi desta sempre una certa e spiegabile emozione.
Ero a Padova professore incaricato, come già si è detto dall’anno accademico 1954-55 ed ero divenuto professore di ruolo dall’anno 1968-69. Uscii dal ruolo nell’anno accademico 1987-88 rimanendo ancora alla direzione dell’Istituto da me fondato e passai in quiescenza con l’anno accademico 1992-93. Complessivamente ho prestato la mia opera a Padova a tempo pieno per 39 anni, anni di tanta soddisfazione, di qualche piccola delusione e di cordialissimi rapporti con tutti i Colleghi. Mi piace ricordare con particolare stima e affetto il Preside, Luigi Bucciante e i colleghi, ai quali fui legato da solida amicizia, ricambiata, all’epoca del mio magistero. Tra questi rammento sempre con particolare nostalgia e stima Franco Flarer clinico illustre e fine artista, del quale conservo un pregevole dipinto a me donato, il neurochirurgo Piero Frugoni, dal tratto sempre signorile e ottimo amico, Michele Arslan, che si immergeva assai volentieri in conversazioni storico-mediche in mia compagnia, Mario Piazza, collega di raffinata distinzione. Calogero Rabito, Franco Munari, Checco Gasparini, Tito Berti e Giorgio Brandi sempre ameni e frizzanti anche negli incontri conviviali.